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La mia esperienza con il Rebirthing e gli attacchi di panico

Un testo scritto alcuni anni fa

La filosofia New Age, per quel poco che ne so, ci informa che siamo in momento di cambiamento, di passaggio tra un’Era e un’altra, e più precisamente stiamo passando dall’Era dei Pesci a quella dell’Acquario. Mi pare questo significhi, sempre in accordo con tale corrente di pensiero, che passiamo da un epoca in cui contava l’aspetto materiale della realtà a un aspetto spirituale. Nell’era in cui ci apprestiamo a entrare sempre più spazio avranno la sfera psichica, quella emotiva e quella spirituale. 
Wow!
A essere sincero questi aspetti rientrano nella mia quotidianità e, anzi, fanno parte anche della mia vita professionale.
Ma andiamo con ordine. 
Vorrei prima raccontarvi qualcosa di me.
Cercate di immaginare un giovane diciottenne, giunto all’ultimo anno di Liceo (Classico), che vive la propria esistenza accompagnato da continui attacchi di panico. 
Chi vive questo sintomo sa di cosa parlo, altrimenti lasciate che introduca il D.A.P. con un paio di righe. Eh, sì. D.A.P., oggi i vecchi attacchi di panico sono assurti a vera e propria malattia tanto da meritarsi una sigla tutta loro: Disturbi da Attacchi di Panico. Questo la dice lunga sull’importanza che hanno oggi nella nostra società. 
Ma non perdiamo il filo del discorso, vi dicevo di me.
Giovane diciottenne, prossimo alla Diploma di Maturità, figlio unico, che vive con genitori che lo amano sinceramente. Abbastanza introverso e non molto comunicativo. Vive in un ambiente in cui la cultura classica, lo studio della storia, della letteratura, delle scienze sono elementi su cui fondare una buona educazione. L’ascolto della musica, il culto per l’attività sportiva e l’interesse per la società che ci circonda altri elementi utili a forgiare il carattere e la personalità di un giovane promettente. 
In tutto questo vortice di studio, sport, hobbies e interessi vari, il nostro giovane diciottenne (che sono sempre io) vive in pieno il suo disagio di “dappista” (così si chiamano coloro che soffrono di D.A.P.). Le figure famigliari più vicine a lui (ovviamente i genitori e il nonno materno) si accorgono del disagio e provano a sondare il terreno. Cercano di dialogare con il giovane, senza successo. Le paure aumentano senza che riesca a venirne a capo. I famigliari intensificano la propria azione di soccorso, suggerendo terapie psicanalitiche, cure mediche (il nonno e gli zii sono tutti medici) e perfino terapie alternative. Pochi mesi prima infatti, mio padre aveva iniziato un percorso alternativo. 
Il disagio cresceva, l’insistenza famigliare pure, fino a che ci fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. Voi immaginerete chissà che cosa. Immaginerete un momento di sofferenza vertiginosa che mi fece decidere di prendere in mano la situazione. Sì, ci fu un momento particolare in quel periodo, ma l’evento clou fu un altro.
Io povero giovane in preda alle paure più sconvolgenti, bisognoso di semplicità, di calore, di affetto, di un abbraccio e di qualche carezza, ricevetti, in risposta al mio disagio e alla mia ostinata introversione, ben altro. Non ciò che volevo, ma ciò che meritavo: un libro!!! Un libro il cui titolo la dice lunga su tutto quanto vi ho appena raccontato: “Auto Analisi – come e fino a che punto ci si può analizzare da se stessi”.

Ho capito che dovevo darmi una mossa, ho capito che non volevo più andare avanti in questo modo. Così presi una decisione, quella di fregarmene degli approcci psicoanalitici, di quelli classici e simili, e di seguire le orme paterne, rivolgendomi al “mondo alternativo”.
Ok, avevo deciso che mi sarei rivolto alle terapie alternative, ma non potevo lasciarmi alle spalle una vita, per breve che fosse, vissuta in un ambiente occidental/classicheggiante. Quindi appena misi piede, per la prima volta, nello studio della signora che di lì a poco mi avrebbe proposto il suo metodo, non rimasi shoccato ma poco ci mancò. Pensai: “Ma dove mi sono lasciato trascinare?” “Ecco lo sapevo che non dovevo dare retta ai miei genitori, non hanno capito niente”? “Mio padre viene qui?”
A quell’epoca, per me, arazzi raffiguranti divinità indù, profumo d’incenso, porta incensi, spade giapponesi, segni strani sui muri (?, ecc.), drappi e simili, erano tutti elementi guardati con sospetto. Mi ero sì rivolto all’alternativo, ma mi aspettavo una certa serietà e una certa professionalità.
Mah!
Dubbioso e timoroso, proseguii. In altre parole mi chiusi la porta alle spalle senza tentare la fuga. 
Quella simpatica signora (diamole un nome: Mila) mi illustrò il metodo che proponeva. 
Brevemente: una seduta consisteva in una prima parte di colloquio analitico e in una seconda parte dedicata alla respirazione circolare, il tutto durava circa un paio d’ore.
Per quanto riguarda il colloquio analitico, non ci furono problemi. Riguardo alla respirazione il mio primo e ingenuo pensiero fu: “Perché di solito trattengo il respiro?” Era il concetto di “circolarità” a suscitare in me qualche perplessità.
Comunque, tornando alla prima seduta con Mila, posso dirvi che fino a che ci fu da parlare, anche se eravamo seduti per terra su dei materassini e non lei dietro la scrivania e io sdraiato su lettino, non ebbi alcun problema. Quando mi propose di sdraiarmi e di provare a respirare non ne volli sapere. Così la prima esperienza con il mondo alternativo si può riassumere in due ore di chiacchiere. 
Nonostante ciò, come avrete intuito, fissai un secondo incontro.
Ovviamente mi presentati. La prima parte fu dedicata al colloquio e quando Mila mi propose di sdraiarmi per respirare obiettai nuovamente. Giustamente mi fece notare che quella era la sua proposta, che io avevo scelto di andare da lei e che se volevo qualcosa di diverso, nella stanza accanto avrei trovato una brava psicologa. Di fronte a argomenti così forti, cedetti.
Mi coricai e cominciai a respirare come mi suggeriva lei.
Non ricordo esattamente tutto quello che Mila mi disse, tutto quello che feci ne quello che accadde. Ricordo semplicemente il blocco. Sì, ricordo che mentre respiravo circolarmente, senza pause tra inspirazione e espirazione e vice versa, il mio corpo cominciò a formicolare, poi a intorpidirsi, fino a che i muscoli si irrigidirono, si rattrappirono così d ritrovarmi paralizzato.
Niente male per un novellino, vero?
Va’ tutto bene non impressionatevi, fa parte del gioco, del mio gioco.

Più respiravo e più mi bloccavo. Dire che non stavo capendo niente è semplicemente riduttivo. Vivevo tale esperienza preda della paura e della paralisi. Mila, accanto a me, mi sosteneva a lasciar andare il respiro a non controllarlo. Non capivo cosa significassero quelle parole. Lasciar andare il respiro? Non controllarlo? Ma chi lo sta controllando? Io qui non ci capisco più niente! Il respiro divenne in breve tempo rumoroso e faticoso. Faticavo a inspirare e emettevo suoni come fossi in preda a un attacco d’asma. Fino a che in me emerse un pensiero, anzi, più che un pensiero un’intuizione che mi spinse a non curarmi di ciò che stava avvenendo. Quasi dicessi a me stesso: “Lascia perdere, tanto non ti riguarda”. Immediatamente sentii che qualcosa stava cambiando, l’intensità e la fatica fino a un istante prima stavano svanendo per lasciar spazio a una sempre più profonda sensazione di rilassamento. Sentivo il mio corpo vibrare, come attraversato da onde continue. Il respiro si stava affievolendo fino a recuperare le pause che aveva prima di intraprendere questa esperienza. E io rimanevo lì, sdraiato, a occhi chiusi, girato su un fianco, in posizione fetale, coperto da un paio di plaid. Ero diventato l’osservatore di me stesso. Non ricordo quanto tempo durò tutta l’esperienza e non credo abbia importanza, ricordo solo che quando aprii gli occhi era buio, forse erano le sei di sera (eravamo in Gennaio) e l’unica luce presente era quella di una candela, posta al centro della stanza.
Mi sentivo stordito e confuso, ma allo stesso tempo rilassato. Sentivo che qualcosa era scattato. 
Potete intuire da soli che fissai un’altra seduta e poi un’altra ancora e così via. Oggi non so più dire quante sedute di gruppo e individuali abbia vissuto.
Eh, sì, perché se il mio approccio con il mondo alternativo cominciò per ragioni di salute (volevo guarire dai miei attacchi di panico), ben presto mi resi conto che ciò che vivevo durante le sedute mi aiutava a conoscere me stesso in modo nuovo e più profondo di quanto avessi potuto fare fino ad allora. La mia curiosità mi spinse, quindi, a indagare sempre più a fondo me stesso, grazie alla forza e la semplicità del respiro.
La pratica di questo metodo mi accompagna tuttora a tale punto che, qualora non l’aveste ancora capito ve lo dico, ne ho fatto anche la mia professione.
Oggi lavoro come Rebirther a tempo pieno e mi piace accompagnare le persone (individualmente o in gruppo) alla scoperta di questo metodo e contemporaneamente osservare le scoperte che ciascuna di loro compie su se stessa.
Il fatto che sia diventato Rebirther non mi impedisce di praticare questo metodo sia in modo autonomo, sia accompagnato da un collega. Anzi, ritengo sia indispensabile per me, continuare a vivere nuove esperienze. Si dice che “ogni respiro è diverso da qualunque altro” e che “il respiro è lo specchio del nostro stato fisico e mentale, delle nostre emozioni, dei nostri pensieri”. Per queste ragioni e molte altre, continuo a osservare il respiro che spesso mi parla molto più chiaramente dei miei pensieri.

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